La consulenza familiare come risorsa: mediare si può.
Storia di Anna

L’intenzione di questo articolo è quella di
esaminare una storia in cui è stato possibile effettuare una consulenza
familiare, utilizzando le tecniche di mediazione e cercando di coinvolgere
tutti i partecipanti, trasformando la loro presenza da parte del problema a
risorsa per il problema.
Uso
volutamente il termine storia perché, per me, le persone con le quali lavoro
non sono un caso ma, appunto, persone ed ognuna di loro è portatrice di una
propria storia.
Storia di
Anna
Anna (
ovviamente nome di fantasia come tutti gli altri nomi citati in questo articolo) è una signora di sessanta
anni, vedova da dieci ed ha due figlie : Carla di trenta anni e Chiara di
ventidue. Anna ha lavorato e tuttora lavora come sarta, svolgendo la sua
attività in una stanza esterna annessa
alla propria abitazione. Integra le proprie entrate con la pensione di
reversibilità del marito, che era impiegato statale.
Anna vive insieme
a Chiara, che studia ancora, mentre la figlia maggiore Carla è sposata da sei anni ed ha un figlio
di quattro.
Il motivo
per cui Anna si rivolge a me è dovuto al fatto che Carla, in pratica , non permette alla madre di vedere
il nipote, Lorenzo, di quattro anni. Se Anna telefona Carla non si fa trovare,
se Anna cerca di andare a trovarla a
casa, Carla si nega o fa in modo che le visite durino pochi minuti. Di fatto le
interazioni tra nonna e nipote sono molto scarse ed Anna vive questa situazione
molto male, anche con ripercussioni a carattere fisico ((dorme male, ha spesso
mal di stomaco anche se, a livello clinico, il suo stato di salute risulta
buono).
Concordiamo
un appuntamento per poter approfondire questa sua richiesta.
Il percorso
Anna arriva
mostrando una certa agitazione. E’ una donna piccola, curata e denota una certa
timidezza ed una forma di disagio. Lo capisco dalla difficoltà che ha di
sostenere il mio sguardo e dal fatto che continua a muovere il cellulare che
tiene in mano, controllandolo più volte. La invito a parlare con calma,
partendo da quello che le viene in mente, senza pensarci troppo. E comincia a
raccontare.
Il rapporto
con sua figlia Carla è sempre stato conflittuale, soprattutto dal periodo
dell’adolescenza, diversamente da quello con Chiara che, sottolinea, è molto
più tranquillo. La situazione è poi ulteriormente degenerata dopo la nascita di
Lorenzo, Carla non ha voluto che la madre fosse presente all’ospedale quando
lui è nato e le ha consentito di vederlo pochissime volte. Si è rivolta alla suocera
per ogni forma di aiuto, rifiutando tutti i tentativi della madre per un
eventuale sostegno. Quindi il bambino ha sviluppato un forte attaccamento con
la nonna paterna mentre lei è sempre stata esclusa e, se presente per qualche
festività o altre rare occasioni, l’atteggiamento della figlia è sempre stato
molto freddo e respingente, al punto di tollerare che Carla tenesse in braccio
il piccolo per pochi minuti soltanto.
Mentre
racconta tutto questo Carla scoppia a piangere e continuerà a commuoversi per tutto
il nostro incontro. Le chiedo se questo atteggiamento di Carla sia condiviso
anche da suo marito e lei risponde di no, anzi riferisce che, spesso, il genero ha invitato
Carla ad essere più inclusiva con la madre, ma senza ottenere nessun risultato.
A questo
punto le chiedo se sua figlia dia delle spiegazioni per il proprio
comportamento ed Anna racconta che i loro rapporti, come già detto, non sono
stati mai facili, anche a causa della loro storia familiare.
Anna,
infatti, riferisce di essere stata maltrattata dal marito più volte, anche
davanti alle figlie ma, soprattutto, di fronte a Carla. Il marito, infatti,
agiva violenza verso di lei, sia a livello fisico, sia a livello verbale,
svalutandola ripetutamente. Quando Carla ha iniziato a rendersi conto di quello
che stava accadendo e a capire che ciò non era giusto, ha cercato di incitare
la madre ad uscire da quella situazione incresciosa, spingendola a separarsi
dal padre. Tuttavia Anna non riusciva a prendere questa iniziativa, anche perché
non si sentiva appoggiata da nessuno. I suoi genitori, infatti, erano molto
anziani e malati ( adesso sono deceduti da molto tempo) e non avrebbero potuto
aiutarla, mentre i suoceri, pur essendo al corrente della situazione, non vi
davano peso, dato che, anche nella loro famiglia, era presente questa modalità relazionale. La suocera la
invitava a stare zitta e a non creare occasioni per fare arrabbiare il marito,
come del resto, aveva sempre fatto lei. Le chiedo se sapesse, prima di
sposarsi, che il marito venisse da un contesto violento e potesse riprodurlo
con lei e risponde che “qualcosa aveva capito”, ma pensava che, con il
matrimonio, sarebbe cambiato. Incalzata da Carla, Anna ha cercato un paio di
volte di uscire da questa situazione, che avvelenava tutto il contesto
familiare, rendendo l’atmosfera di casa pesante e perennemente tesa, anche se
il marito non ha mai usato violenza sulle figlie.
Tuttavia per
paura, per insicurezza ( il suo lavoro non le garantiva un’autonomia economica
), per mancanza di fiducia in se stessa, Anna ammette di non avercela fatta,
definendosi “una madre ed una donna fallita”.
Carla, dopo
i suoi inutili tentativi di “liberare”
la madre ha iniziato ad essere sempre più fredda e distaccata con lei e non ha
cambiato atteggiamento neppure quando, alla morte del padre, la situazione in
casa si è resa più vivibile. Accusa la madre di essere stata complice del padre
e di non averla protetta.
Le chiedo se
anche Chiara condivida queste convinzioni ed Anna risponde di no, sia perché ha
vissuto questa situazione per meno tempo, sia perché Carla l’ha protetta molto,
evitandole di assistere alle scene più drammatiche. Le chiedo quali siano i
rapporti tra le due sorelle e risponde che sono molto buoni, si frequentano e
Chiara agisce senza problemi il suo ruolo di zia. Ci lasciamo decidendo di
iniziare un percorso insieme.
Le informazioni recepite e la loro
elaborazione
Da questo
primo colloquio sono emersi alcuni indicatori che possono già delineare un'ipotesi di progetto di lavoro.
Innanzi tutto appare evidente che Anna ha un livello molto
baso di autostima che, probabilmente, era presente anche prima del suo matrimonio (
lo evidenzia il fatto che, già durante il fidanzamento, aveva percepito che
qualcosa non andava, ma aveva sperato di poter modificare la situazione). La
relazione coniugale ha quindi i agito
come rinforzo di una carenza di autostima già esistente ed i suoi tentativi
falliti di porre fine a questo stato di cose hanno ulteriormente convinto Anna
di non valere, scatenando in lei anche
il senso di colpa per aver deluso la figlia e facendola, quindi, sentire un
completo fallimento.
Pertanto il primo step di questo lavoro sarà rafforzare
l’autostima di Anna, attraverso un percorso di consapevolezza che la porti ad
accettarsi, a volersi bene e a poter pronunciare, finalmente, quel “ mi
merito”, che non si è mai concessa.
Carla ,dal canto suo, non riesce a perdonare la madre per
averle fatto vivere un’infanzia ed un’adolescenza in perenne stato di allerta e
di averla costretta ad essere adulta prima del tempo, dovendo proteggere la
sorella minore ed ha pertanto sviluppato
una rabbia, nei sui confronti, che la porta a “punirla”, non facendole vivere
il suo ruolo di nonna e chiudendo con lei ogni forma di comunicazione. Anna,
infatti, sostiene che sarebbe impossibile, almeno per ora, progettare un
incontro tra lei e la figlia, anche in un contesto protetto come quello in cui
stiamo lavorando.
Chiara sembra costituire, in questo tentativo di costruzione
di un confronto tra Anna e Carla, una risorsa.
Infatti è l’unica persona che riesce ad avere un rapporto sereno, sia
con la madre, sia con la sorella.
Pertanto il
lavoro procederà con un incontro tra Chiara e la madre, in cui anche Chiara
avrà modo di esprimere i suoi stati d’animo e le sue emozioni rispetto a ciò
che sta accadendo ed è accaduto e, successivamente, avrà il compito di
convincere la sorella a partecipare ad un incontro con me, senza la presenza
della madre.
Questo è uno
dei momenti più delicati del percorso, perché un rifiuto di Carla può
compromettere seriamente tutto il lavoro Fortunatamente, dopo molte
insistenze, Carla accetta e svolgiamo un primo colloquio in cui lei riesce ad
esprimere le sue emozioni, che sono la rabbia ( come emozione prevalente), ma
anche il dolore e la fatica di portare avanti questa “guerra” con la madre. Il
rapporto con Anna è emotivamente
ambivalente, perché vi è una parte di Carla che tende a rifiutarla per
“punirla” ed una parte che denota un bisogno di ritrovare la madre. Negli
incontri successivi ( sia individuali con Carla, sia con entrambe le sorelle)
emergono anche le emozioni nei confronti della figura paterna, fino ad ora
“ricoperte” da quelle verso la madre e Carla riesce ad avere una visione più
distanziata rispetto al vissuto familiare.
A questo punto ritengo sia possibile organizzare un
incontro tra Carla ed Anna e questa proposta viene accettata.
Il primo incontro tra Anna e Carla è caratterizzato da
una forte tensione emotiva e le due donne riescono, all’inizio con molta
difficoltà e reciproca diffidenza, ad esprimere i propri pensieri e ad
interagire, a volte anche in maniera concitata, cercando di spiegare l’una
all’altra i propri punti di vista ( in questa fase l’ascolto reciproco è lo
strumento principale).
A questo incontro ne seguono altri e, in uno di questi,
Carla annuncia di avere iniziato un percorso psicoterapeutico per sciogliere alcuni nodi con se stessa,
manifestando una nuova consapevolezza.
Il passo successivo e definitivo sarà quello di riunire
di nuovo Anna ed entrambe le figlie e, in questo ultimo incontro, verificare se
Anna e Carla abbiano acquisito la capacità di stabilire un rapporto
sufficientemente
“ripulito” dai vissuti traumatici del passato e siano
pronte a ridefinire nuove regole per il presente, soprattutto rispetto alla possibilità
di Anna di esercitare il suo status di nonna.
Anna e Carla sono pronte per sperimentare questa nuova
fase della loro relazione ed affrontare i cambiamenti che loro stesse vogliono
attuare. La presenza di Chiara è importante perché, anche lei, attraverso questa
nuova modalità relazionale tra la madre
e la sorella , viene liberata dal ruolo di
figura di collegamento tra di loro , acquisendo una nuova autonomia.
Analisi, metodologia e conclusioni
Quando siamo di fronte ad una famiglia che presenta delle
disfunzionalità, è come trovarsi di fronte ad un palcoscenico in cui alcuni
attori stanno recitando. Tuttavia, ciascuno di loro interpreta una parte in
maniera autoreferenziale, senza che ci sia una vera e propria interazione con
gli altri .
A volte può capitare che un attore si sforzi di
comunicare quello che pensa e che prova, magari alzando i toni e manifestando
rabbia, causando così una reazione negli altri attori che può essere, a seconda
della circostanza, una risposta altrettanto furiosa ,sarcastica o addirittura
indifferente, ma poi tutto rientra e gli interpreti continuano la loro
rappresentazione egocentrata e lo spettatore non percepisce una comunicazione
interattiva, ma solo una cacofonia di suoni.
Attraverso la consulenza e la mediazione familiare vi è
il tentativo di interrompere questo schema e, come avete visto in questa
storia, la metodologia adottata si è basata su:
Analisi degli indicatori e dei messaggi anche sublimali , che già emergono dal primo/secondo incontro,
per poter elaborare un progetto di lavoro iniziale
Individuazione delle possibili risorse ( in questo caso la risorsa è stato Chiara, che aveva buoni
rapporti sia con la madre che con la sorella)
Attivazione di incontri che possano stabilire confronto
tra i vari attori ( anche gradualmente, come in questa storia)
Facilitazione dell’ascolto reciproco, che porta, come
conseguenza, al riconoscimento dell’altro e ad una diversa prospettiva nei
confronti degli eventi critici
Uscita dal loop
che permette di rimanere
invischiati nel passato, situazione che non consente il cambiamento
Mediazione tra i bisogni espressi dai protagonisti
Progettazione per il presente ed il futuro.
Dott.ssa Evita
Raffaelli
Cell. 3493638465
Mail evita.rr@virgilio.it